LETTERA DI ENRICA MURARO AL MINISTRO SPERANZA

Egregio Ministro Speranza,

chi Le scrive non è una persona importante, non è un’eroina, non è un personaggio pubblico.

Sono Enrica, semplicemente. Dalla provincia di Rovigo e sono un operatore socio sanitario.

Ho il grande onore di essere stata selezionata nella task force degli Oss e di prestare il mio lavoro in una delle Rsa colpite dal Covid-19, proprio nella mia regione.

Questa esperienza l’ho voluta fortemente, fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria sapevo che il mio posto non era a casa, ma che dovevo essere parte attiva, in supporto ai colleghi e soprattutto agli ospiti di queste strutture, completamente isolati dal mondo esterno e dagli affetti più cari.

Ho vinto le naturali reticenze della mia famiglia che nutriva timori verso questo incarico, perché madre di due bambini, di cui uno di otto mesi. Ma quando si crede nel proprio lavoro, la paura può essere messa in un angolo a ricordarci di essere cauti, senza che questa possa impedirci di svolgere le nostre mansioni al meglio.

L’arricchimento personale è solo una minima parte di quello che ho ricevuto in questi giorni, l’appagamento invece, dopo aver scatenato qualche sorriso, per una carezza o per una buona parola in mezzo a tanto affanno, dopo un periodo drastico e tragico, quello è ciò che voglio portare nei prossimi anni con me.

Lo sguardo affranto degli Operatori al pensiero delle persone mancate o la preoccupazione per i colleghi contagiati, resteranno un ricordo indelebile che mi accompagneranno per il resto della vita.

Perché il nostro lavoro è umile, paziente, pesante emotivamente e fisicamente.

In questa pandemia, ci siamo ritrovati ad essere lavoratori e familiari di questi anziani, catapultati in un incubo che nessuno meritava.

Ringrazio la Protezione Civile per avermi dato questo opportunità, perché ho potuto apprezzare ancora di più la figura che rivesto.

Siamo in tanti Operatori Socio Sanitari, un piccolo esercito di donne e uomini, che non compiono un lavoro eccezionale o straordinario, ma che ogni giorno fanno della cura delle persone più deboli, una piccola missione di vita.

Mi rendo conto, che rispetto ai medici e agli infermieri impiegati negli ospedali nei momenti più cruciali della pandemia, il nostro ruolo è secondario. Non salviamo vite, non siamo necessari nei momenti più acuti. Tuttavia siamo noi, che ogni mattina, svegliamo i vostri cari, li vestiamo, li aiutiamo a mangiare, li confortiamo nei momenti più tristi, li prendiamo per mano mentre li accompagniamo con dignità alla morte, ed ogni volta una piccola parte di noi, se ne va con loro.

Quando, ho scritto che il nostro è un lavoro umile, è perché non lo reputo di bassa manovalanza ma perché aver l’umiltà di servire i più deboli, ci riporta alla nostra dimensione umana che è fragile e dura da accettare.

Siamo “operai della sanità”, ma siamo tanti e sempre più richiesti, come le statistiche dicono, la nostra nazione sta invecchiando e le case di riposo, non sono più ambienti in cui si andava per non rimanere soli, ma sono vere e proprie strutture sanitarie o per essere più chiari, sono le nuove lungodegenze.

Gli ospiti autosufficienti sono ormai molto pochi, chi arriva nelle Rsa, è in condizioni croniche avanzate, con più patologie, con alto bisogno di assistenza. Nella mia esperienza lavorativa, ho imparato non solo a specializzarmi nella cura della persona, ma a dover affrontare il carico di pazienti con stomie, alimentazioni forzate, piaghe da decubito, deficit fisici e mentali importanti.

Qui in Veneto, però, stiamo vivendo una situazione davvero difficoltosa e noi Oss , assieme ai familiari degli ospiti e da pochi giorni anche, ai presidenti dei consigli di amministrazione delle Ipab del Polesine, abbiamo lanciato una richiesta di aiuto alla Regione ed in particolare al Presidente Zaia.

L’emergenza che abbiamo attraversato, ha incrinato maggiormente i bilanci già precari di queste case di riposo, che sono ancora “pubbliche” e disciplinate come Enti Locali.

Sono all’incirca venti anni che chiediamo che alla Regione di applicare una legge che esiste (la 328/2000) che stabiliva che le Ipab fossero trasformate in aziende pubbliche di servizio alla persona (Apsp).

Questa mancata riforma ha causato in questi anni una strisciante privatizzazione, la riduzione dei posti disponibili, un abbassamento della qualità dei servizi per le persone anziane e disabili, l’aumento delle rette ed un peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Nella nostra Regione sono più di trecento le Ipab che offrono ospitalità e assistenza a oltre quindicimila anziani, quasi tutti non autosufficienti, dando lavoro a oltre diecimila lavoratrici e lavoratori tra dipendenti diretti e appalti.

Lottiamo da anni perchè vengano rimossi tutti quegli ostacoli che rendono le Ipab più costose nella gestione rispetto alle case di riposo private. Poi, è necessario che la Regione assegni più impegnative e aumenti la quota a carattere sanitario.

In tutto questo, i familiari si ritrovano a pagare cifre molto onerose per i loro cari, quasi impossibili da affrontare e i comuni che dovrebbero sostenere la spesa di queste rette, quando l’ospite ne è impossibilitato, non hanno la capacità economica.

Nel 2015, l’assessore alla sanità Manuela Lanzarin, aveva promesso che la riforma sarebbe stata fatta in tempi celeri, sono passati altri cinque anni e ancora stiamo aspettando, nonostante la mobilitazione di tutti.

Le Ipab hanno tutte situazioni economiche compromesse che concorrono al peggioramento del servizio, all’evidente sfruttamento dei dipendenti, alla mancanza di risorse materiali e l’impossibilità di adeguamento degli edifici che in alcuni situazioni, sono davvero precari e vetusti.

Dopo l’evento del Covid, perchè la Regione non ha fatto niente per dare una mano alle strutture per anziani a non farsi strangolare dalle mancate entrate durante il lockdown?

Ha forse intravisto la possibilità di assestare un colpo ulteriore alle gestioni pubbliche in favore delle private?

O, forse, i nostri anziani non meritano più attenzione?

Sono domande decise e che lasciano poco spazio all’immaginazione, ma sono domande che devono essere poste, che ci spingono a fermarci e a pensare che non tutto andrà bene, se le categorie più deboli vengono lasciate sole.

Mi duole constatare, che la situazione precaria delle Ipab del Veneto, rispecchia però, ciò che abbiamo vissuto in questi mesi, quando le case di riposo sono diventate soggetti importanti per il numero crescente di decessi, e ci siamo resi conto delle falle di questo sistema sanitario, che non si era adeguato ai cambiamenti accorsi negli anni.

Le case di riposo, sono piccole realtà, piccoli centri distribuiti nel territorio, che possono essere utili alla comunità, che curano pazienti che in ospedale non possono rimanere ma che non potrebbero avere cure adeguate nemmeno a casa.

Gli operatori socio sanitari si ritrovano così, a svolgere una funzione primaria nel momento in cui i nostri cari sono completamente indifesi e provati, il sostegno che ci viene richiesto, potrà continuare ad esistere solo se le istituzioni saranno all’altezza dei loro doveri. La fiducia in un cambiamento, purtroppo e comprensibilmente, non è molta. Sono sicura, però che se ci fosse un’apertura verso questi diritti mancanti, l’esercito di operatori socio sanitari italiani, potrebbe essere una risorsa per tutti.

E’ di pochi giorni fa la notizia della bocciatura da parte del TAR e del Parlamento dell’istituzione del Ruolo professionale nel profilo Socio Sanitario secondo la legge Lorenzin del 2018, rimettendo tutto nelle mani del Ministero della Salute e del Governo. Un’ulteriore delusione e mancato riconoscimento della nostra figura.

Ma noi non ci arrendiamo, non siamo fantasmi, siamo presenti e il nostro lavoro lo conferma ogni giorno.

Non ci tiriamo indietro, saremo sempre a fianco di chi ha bisogno di noi, dei familiari, dei colleghi che si sono ammalati e che purtroppo hanno perso la battaglia contro il virus.

La ringrazio fin da ora per il prezioso tempo che ha impiegato a leggere questa mail e le porgo i più cari saluti.

Enrica Muraro

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